Giovanni Renzi e le matite, storia quattro.

Architetto, consulente storico e archivista, Giovanni Renzi ha deciso di sfruttare questo periodo per dedicarsi alla scrittura di storie legate alle matite. Una curiosità al giorno leggera e interessante.
Qui scava nella sua memoria e riporta l’incredibile storia del nonno, sopravvissuto a un campo di concentramento grazie alla sua calligrafia e all’uso delle matite copiative.

“Una matita al giorno” - La matita copiativa di Flossenbürg

Questa è la storia di un maggiore dell’esercito italiano, detenuto in un campo di concentramento in Germania a Flossenbürg.
Il 7 settembre 1944, dopo pochi giorni dall'arrivo in quel girone dantesco, viene scelto, per sua fortuna, come scrivano. Ha partecipato ad una specie di concorso tra deportati e, grazie alla sua calligrafia viene scelto. Da quel momento la sua arma, il suo attrezzo saranno delle matite copiative.
Il campo di concentramento di Flossenbürg è un campo di lavoro. Seguiva le direttive dello “sterminio tramite lavoro”. Nelle cave di granito i prigionieri avevano una vita media di due, tre mesi al massimo. Un campo da cui non si tornava.
Entrare in ufficio a lavorare significava non andare in miniera, lavorare sì di notte ma poter dormire di giorno quando le baracche erano vuote e non sovraffollate. Significava anche riuscire a rubare o farsi dare qualche avanzo di cibo da una sentinella. Insomma significava avere la speranza di sopravvivere.
Le disavventure del maggiore Ubaldo Pesapane iniziano al ritorno dalla campagna di Grecia e di Albania dove era al comando della Prima divisione celere “Eugenio di Savoia”. Bersaglieri. A seguito dell’8 settembre 1943 l’esercito si disfa. Dopo una breve licenza prende un treno per andare a combattere con i partigiani sull’Appennino ma sul treno incontra un suo superiore, il generale Cantaluppi, che lo convince (o gli ordina) di presentarsi alla Repubblica di Salò e di fare da spia degli Alleati all’interno di quel comando cercando, nello stesso tempo, di esonerare dal servizio militare il più possibile dei giovani in età di leva.

Il nostro ufficiale obbedisce ma viene denunciato da un altro ufficiale poco dopo aver preso posto nel nuovo comando. Viene portato a San Vittore, interrogato, torturato prima di essere spedito al campo di concentramento di Bolzano e poi a Flossenbürg.
Le uniche notizie riescono ad uscire dalla prima prigionia, quella a San Vittore, e sono contenute in dei pacchetti di sigarette grazie ad una guardia carceraria. Sono messaggi scritti e arrotolati dentro delle sigarette; alcuni con un chiodo e con il suo sangue. Sono dei messaggi per sua moglie, mia nonna.
Non ci sono prove evidenti e forse per quello non viene fucilato. O forse per il suo curriculum lui che è stato il più giovane ufficiale a frequentare la Scuola di Guerra di Torino.
Del treno che partì da Milano, per il campo di Bolzano, pieno di prigionieri politici e di persone di origine ebraica tornarono solo in cinque. Lui fu uno di questi. E questo grazie all’uso delle matite copiative e alla sua incredibile calligrafia.
Ho conosciuto il maggiore Pesapane, mio nonno, per 15 anni. E’ morto nel 1978. Era da anni chiamato da tutti il colonnello, perché gli ufficiali quando si congedano passano di grado. E lui, monarchico e stremato dall’esperienza tedesca, si era voluto congedare quando era finita la guerra.
Di quei periodi parlava raramente, se non interrogato da noi di famiglia a tavola. Ma noi uditori di quei racconti non potevamo capire cosa poteva essere stato aver perso ogni libertà e ogni senso comune di umanità. Quando raccontava che non era possibile raccogliere un tuo compagno caduto vicino a te perché questo avrebbe comportato anche la tua morte e non solo la sua o la lotta quotidiana contro i pidocchi.
Dopo circa settantacinque anni da quei tragici avvenimenti, mentre pensavo di scrivere un libro sulla storie delle matite, ho trovato, incredibilmente, sul mercato di Ebay una matita originale proveniente da quel campo di concentramento. Anzi come le chiamava lui “un lapis”. E’ una matita copiativa fatta di sola pasta come venivano prodotte per risparmiare sul prodotto legno. Anche in Italia ad esempio la Presbitero produsse delle matite prima della guerra, dal 1938 , le “matite autarchiche”, pastelli colorati che erano fatti nella stessa maniera.
Pensavo che fosse una replica commemorativa del Museo ora presente in quel posto e l’ho acquistata comunque. Mi è arrivata invece una matita originale, avvolta in una carta velina color ambra, consunta e mezza stracciata, sporca di grafite, ricordo e testimonianza di un periodo in cui ci si attaccava a tutto per salvare la propria vita e quella dei propri cari. Probabilmente da sempre insieme alla matita e a protezione di questa. Come un tesoro da non perdere. Una emozione fortissima, potete immaginare, e la convinzione che quell’idea di scrivere un libro sulle matite italiane dovesse assolutamente essere portata a termine.
"Matite, storia e pubblicità" edito da Silvana Editoriale è dedicato a Ubaldo Pesapane.

Giovanni Renzi
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