Giovanni Renzi e le matite, storia dieci.

Giovanni Renzi, il primo autore di un libro dedicato alle matite italiane, sta sfruttando questo periodo di clausura forzata per raccontaci una storia al giorno, leggera e interessante, che ci mostra la relazione tra personaggi più o meno conosciuti e le matite. In questo aneddoto ci parla del signor Adolfo, un antiquario che ha segnato la sua infanzia, e delle sue passioni per i francobolli e le matite appuntite.

“Una matita al giorno” – La matita dell’antiquario

Non so quanti anni avessi quando per la prima volta son salito su quei tre gradini. Ricordo però quando, per la prima volta (uguale a tante altre), suonai il campanello senza essere accompagnato da mia madre con la quale normalmente avevo visitato quel luogo. Avevo undici anni ed il mio universo fisico era molto limitato: la scuola, l’oratorio, la mia casa e la casa di Nicola.
Nicola era il mio compagno di classe fin dalle scuole elementari. Sua madre spesso e volentieri ci veniva a prendere a scuola. Quasi ogni pomeriggio, praticamente ogni giorno, lo passavamo a giocare all’oratorio o a casa sua con il Lego, a soldatini o con le figurine. Dalle due alle sette orario continuato. Il negozio del signor Adolfo era ai margini di quel mio universo che aveva in Via Washington il centro, il baricentro ed i confini. La Via Washington era un fiume impetuoso e pericoloso con quelle macchine lanciate spesso a folli velocità, tanto che in quegli anni mia nonna fu investita davanti a casa dopo avermi fatto attraversare; ma quella via era anche il mio cannocchiale per vedere le montagne nelle belle giornate e un orologio che batteva le stagioni nei lunghi filari di alberi.
E' strano come quando si è piccoli le distanze siano dilatate, ma per me, e credo anche per Nicola, andare al negozio del signor Adolfo era un viaggio. Si trovava proprio sotto e di fronte ai due palazzi dei primi del Novecento che dominano Piazza Piemonte e che segnano l'inizio di Via Washington. Quei due palazzi, “i due grattacieli” come una volta li chiamavano, erano le mie colonne d'Ercole. Superarle voleva dire intraprendere un vero viaggio verso l’ignoto, verso il nostro Eldorado, il negozio Cagnoni di Corso Vercelli.

Il negozio del signor Adolfo, posizionato dunque internamente ai confini di movimento concessomi, era sempre uguale, come lui d’altra parte. Sempre gli stessi oggetti, la stessa luce, le stesse persone nelle stesse situazioni e sempre il signor Adolfo, chino sui suoi francobolli con una matita ed una lente per le mani. Per quelli io e Nicola andavamo lì.
Avevamo iniziato tutti e due, prima lui e poi io, una raccolta di francobolli; Nicola di tutto il mondo, io degli Stati Uniti d'America. Mia madre ci aveva detto di andare dal signor Adolfo a farci consigliare. Ed il signor Adolfo aveva avuto la brutta idea di aggiungere ai suoi consigli qualche francobollo doppio in regalo. Li' si era rovinato con le sue stesse mani, come si accorse ben presto. Noi tornavamo una volta o due ogni settimana e non ce ne andavamo via mai a mani vuote anche perché questo era il suo modo per farci levare di torno. Il signor Adolfo non vendeva francobolli ma antichità. Non era molto alto, di corporatura massiccia portava periodicamente una folta barba bianca che lo faceva assomigliare ad un incrocio tra Carl Marx ed Ernest Hemingway. Era un abitudinario negli orari; alle 12 tirava giù la serranda anche se fosse presente il Papa o un cliente intenzionato a comprare tutto il negozio; il pomeriggio invece era dedicato ai francobolli; aveva cinque passioni che era solito seguire: le donne, il gioco, il vino, l'antiquariato ed i francobolli.

All'antiquariato era arrivato per caso andando da un antiquario a vendere alcuni piatti di casa spinto dalla necessità di riguadagnare qualcosa di quello che aveva dilapidato al gioco. Non era un intenditore, ma era un buon commerciante e aveva molto fiuto. Non è un caso che si appassionasse al commercio di mobili e di oggetti antichi in quanto questo mestiere è in certi versi molto vicino al gioco d'azzardo. Si punta su di un oggetto trovato abbandonato in qualche soffitta o non valorizzato da qualche rigattiere, e si può (poteva) vincere molto e velocemente rivendendolo; come si può perdere non riuscendo mai a vendere quell'oggetto (cosa più usuale in questo periodo). Il signor Adolfo era un buon giocatore, e non nel senso che vinceva più di quello che perdeva, ma nel senso che sapeva perdere; e nonostante avesse perso molto da giovane, non aveva smesso. Pagatore puntuale, era un signore. Il palazzo dove abitava e dove era situato il negozio era stato il palazzo di famiglia. Il padre o il nonno aveva avuto un ruolo importante nel brevettare la carta stagnola. L’autovettura di famiglia era stata per anni l’unica macchina di proprietà di uno degli abitanti di tutta la via Washington. Adolfo al gioco si era perso tutto, comprese le gomme della macchina. Con l’Antiquariato si era riuscito a risollevare.
Quando lo andavamo a trovare era chino sui dei fogli quadrettati con i buchi su un lato. Lì con una matita in grafite, sempre molto appuntita, e righello costruiva tante piccole celle, tanti piccoli rettangoli della dimensione del francobollo. Lì posizionava le sue prede. Dove i francobolli mancavano segnava il numero di catalogo Sassone o Yvert et Tellier. Poco più in là aveva un baule in tela e legno, nero e marrone pieno di francobolli ancora incollati su carta o sciolti. Lì pescava i francobolli da posizionare. Da buttarsi dentro per un bambino della mia età!

Le matite sono state chiaramente oggetto e soggetto di molti francobolli. Alcuni direttamente stampati dalle aziende produttrici come francobolli chiudilettera o reclamistici. Famosi sono le serie della Hardtmuth e della Johann Faber della prima metà del Novecento. Di aziende italiane se ne conoscono pochi. Due chiudilettera della FIM BO di Torino del 1938 per i cento anni della Augusto Bo azienda che aveva acquistato la Fim nel 1927; un Chiudi lettera della Presbitero che riproduce il disegno di Aloy di cui abbiamo parlato qualche giorno fa e uno della FILA riproducente l’uomo con la matita nel taschino di Sacchetti. Un disegno degli anni venti che nel 1931 viene utilizzato come chiudilettera per la Fiera di Parigi. Probabilmente il chiudilettera più raro che ci sia. I chiudilettera sono dei francobolli senza il valore postale. Normalmente riproducevano manifesti famosi o erano emessi per campagne che cercavano di raccogliere fondi come contro la tubercolosi o a favore della Croce Rossa.
Comunque io seguiì il suo esempio e armato di matita e fogli quadrettati Marini mi costruì a casa il mio album personale di francobolli. Scoprii in un secondo momento, e troppo tardi, che il metodo che mi aveva consigliato era sbagliato in quanto le linguette adesive poste dietro ai francobolli in realtà ne minavano il valore togliendo parte dello strato di colla presente per l’affrancatura. Ma non importa. Ho ancora da qualche parte quella piccola collezione di francobolli con gli angoli segnati a matita come faceva lui. Quella piccola passione mi durò due o tre anni.

Una decina di anni dopo tornai a frequentare il signor Adolfo. Fu praticamente il mio primo datore di lavoro. Tornato da militare mi sposai molto giovane e mentre facevo ancora l’Università avevo bisogno anche di lavorare. Avevo un vecchio furgone Volskwagen bianco. Con questo, aiutato da amici ex compagni di Liceo, facevo le consegne delle vendite degli antiquari di Milano. In quegli anni però non lo trovai più sui suoi francobolli. Chissà, forse aveva esaurito il baule o gli era passata la passione. Mi piace però ricordarlo in quella stanza buia, con quella luce emessa da una lampada da scrivania, che illuminava solo le sue mani, il francobollo e una matita.

Giovanni Renzi

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