Giovanni Renzi e le matite, storia sei.

L’autore di “Matite, storia e pubblicità”, Giovanni Renzi, ci intrattiene con interessanti e particolari storie che hanno come protagoniste le matite. Qui ci parla del banchiere Enrico Cuccia che grazie a questi strumenti indispensabili leggeva, controllava, cancellava e riscriveva tutto a piacimento.

“Una matita al giorno” – La matita del banchiere – Enrico Cuccia

"Davanti a ognuno di loro c’era un minuto block notes con una matita. Niente faldoni, niente carte. Il messaggio era chiaro: quando si deve decidere se destinare cento miliardi di lire a una costruzione piuttosto che investirli nell’acciaio, tutto va ridotto all’essenziale. Le grandi strategie non hanno bisogno di fascicoli polverosi."
Così Umberto Veronesi raccontava il suo incontro con Enrico Cuccia nella sala riunioni di Mediobanca.
Mentre Giorgio la Malfa ha ricordato: “Quando andavo a trovarlo, il sabato, la domenica o anche il 15 agosto o il 25 dicembre, visto che considerava immorale per una persona con un ruolo prendersi vacanze, lo trovavo con dei fogli di carta su cui annotava a matita dati di confronto, per esempio tra Fiat, Renault o Volkswagen.”
Appuntava tutto a matita, su fogli piccoli, e poi chiedeva di elaborarli. Dal confronto dei dati veniva fuori la diagnosi, poi fondamentale per le decisioni strategiche. Diceva di non essere mai andato a vedere un'azienda, si fidava solo dei numeri.
Enrico Cuccia, “il biondino dagli occhi di ghiaccio” abituato a scrivere a matita, così da poter cancellare e riscrivere a piacimento, nasce a Roma nel 1907 ma diventa milanese d’adozione nel dopoguerra. Nel 1949 fu nominato amministratore delegato di Mediobanca che assurse in breve tempo a centro del mondo finanziario e politico italiano.
Un giorno Cuccia aveva avvertito perfino Giovanni Bazoli, non certo un suo amico, sui rischi dell’inchiostro indelebile. A Mediobanca, fin che il banchiere era vivo, tutto si scriveva a matita.
Anche in sala riunioni come riportato da Veronesi.
Una consuetudine che era comune ai grandi banchieri, agli uomini di finanza italiani e a grandi imprenditori. Ho trovato memorie di questa consuetudine su Raffaele Mattioli (Comit) Antonio Tamburini (Direttore centrale Credit) e ancora Giovanni Bazoli, Enrico Bondi, Antoine Bernheim o Leopoldo Pirelli.

Pirelli ad esempio aveva sempre sulla scrivania un contenitore con 19 matite e un secondo contenitore con una matita rossa e blu.
La matita rossa e blu è da sempre associata all'uso dei conti in azienda. Nella storia della matita italiana abbiamo le matite "Contabile" della Lyra o la "Presidente" della Fim di Torino che segnalano come, a tutti i livelli aziendali, dovesse essere usata la matita rossa e blu.
La matita rossa e blu mi ricorda una persona che è stato uno stretto collaboratore di Enrico Cuccia; il direttore e poi anche presidente di Spafid, la finanziaria di Mediobanca.
Ercole Travaglini era il padre della mia prima moglie, Nicoletta. Bancario tutto d’un pezzo non ha mai fatto cenno nelle mura domestiche ad un minimo fatto di quello che accadeva negli uffici dove per anni si stabilivano i passi più importanti della finanza italiana. Sembrava dovesse assolvere al segreto confessionale. Più volte ho assistito a discussioni con sua moglie che gli rimproverava di non parlare mai a casa di lavoro o di quello che succedeva. Sembrava che nel tragitto in tram dall’ufficio a casa perdesse la memoria di tutto quello a cui aveva partecipato, che aveva visto, consigliato o deciso.
Anche lui usava in ufficio e a casa le nostre amate matite. La lettura dei quotidiani veniva fatta con una matita rossa e blu della Lyra o della FILA. Come per Pirelli sempre ben temperate.
Sottolineava a seconda dell’importanza le notizie in modo da recuperare i passi salienti il più velocemente possibile sbarrando la pagina dello stesso colore per segnalarla ai suoi collaboratori.
Così raccontava la sua segretaria di fiducia.
Era di quella generazione della classe dirigente bancaria che per Cuccia aveva una specie di culto, di venerazione. Non pensate che fosse una questione di potere. No, era una missione.

Giovanni Renzi

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